Benvenuti sulla rubrica: straordinarie letture Nua edizioni
Rubrica
straordinarie letture NUA EDizioni
Dopo
qualche spoiler è giunto il momento di presentarvi ufficialmente
il
#truecrime in uscita a settembre! Stiamo parlando del libro
di #PiuEatwell,
‘Dalia nera, rosa, rossa’. Dal 23 settembre disponibile
in
formato digitale e cartaceo
https://amazon.it/dp/BOB7KY1VRV/ref=sr 1 3...#BlackDahlia
Copia
ARC concessa gentilmente dalla Casa editrice NUA
https://booknelmondostraordinarieletture.blogspot.com/2022/09/recensione-dalia-nera-rosa-e-rossa.html
Scheda libro
Titolo: Dalia nera, rosa rossa
Il crimine, la corruzione e l’insabbiamento
del più grande
omicidio irrisolto
Autore: Eatwell Piu Marie
Editore: NUA
Data di Pubblicazione: settembre '2022
Genere: noir storico
Pagine: 400
Traduttore: Cinelli
B.
La vera Storia
Il 15
gennaio 1947, il corpo nudo e smembrato di una bellezza dai
capelli
neri, Elizabeth Short, fu scoperto disteso accanto a un
marciapiede
in un sobborgo di Hollywood. La vittima fu presto
soprannominata
la Dalia Nera.
L’inchiesta per omicidio che seguì consumò Los
Angeles per anni e le
autorità
spesero milioni di dollari di risorse in un’indagine che
sollevò
dozzine di sospetti. Ma il caso non fu mai risolto. Fino ad ora.
Una
ricerca della verità, che catturerà sia chi già
conosce questo
caso irrisolto e ne cerca una
nuova
lettura, sia chi per la prima volta si
avvicina
alla storia della Dalia Nera.
Il caso
immortalato nell’omonimo
romanzo di James
Ellroy,
e nei film ‘Hollywood
Babilonia’ di
Kenneth
Anger e ‘The Black Dahlia’ di Brian de Palma.
In
questo libro rivoluzionario, Piu Marie Eatwell svela per la prima volta
avvincenti
prove forensi e rende noti testimoni oculari, fino ad arrivare a
indicare
l’identità dell’assassino.
‘La scrittura di Eatwell è brillante… [lei] ha
finalmente
offerto a [Elizabeth] Short una sorta di
giustizia
tardiva. Il suo libro sembra un thriller.’ -
Sunday
Times
‘Un magnifico, meticoloso e sorprendente riesame
di un
crimine
che perseguita l’immaginazione
mondiale.’
Geoffrey Wansell, autore di ‘An Evil Love: The Life of
Frederick
West’
Biografia
Piu
Eatwell è conosciuta per i suoi libri true crime storici.
Ha
studiato Inglese all’Università
di Oxford,
laureandosi
‘summa cum laude’. Sempre a Oxford,
ha vinto
una borsa di studio e ha ricevuto lo Skeat-
Whitfield Essay Prize per un saggio sul lavoro dello scrittore inglese del diciottesimo secolo, Laurence
Sterne.
Successivamente ha lavorato
come
avvocato e produttrice televisiva per la BBC e altre società
televisive.
Il libro di Piu ‘The Dead Duke, his Secret Wife,
and the
Missing Corpse’ è un
mystery storico basato
su un
famoso processo edoardiano ed è stato selezionato per i Goodreads
Readers’ Choice Awards.
Il suo
libro ‘Dalia Nera, Rosa rossa’ si concentra su un famigerato
omicidio
avvenuto a Los Angeles nel 1947.
È stato
un libro dell'anno sul Times e sul New York Times,
selezionato
per il premio CWA Gold Dagger e
opzionato
per una trasposizione cinematografica. I suoi libri sono
stati
pubblicati nel Regno Unito e negli
Stati
Uniti e tradotti in diverse lingue, tra cui cinese, ceco, lituano e russo.
Quando
non scava negli archivi
storici,
Piu si divide tra Londra e Parigi.
Trama
Il 15
gennaio 1947, il corpo nudo e smembrato di una bellezza dai capelli neri,
Elizabeth
Short, fu scoperto disteso accanto a un marciapiede in un sobborgo
di
Hollywood. La vittima fu presto soprannominata la Dalia Nera.
L’inchiesta per omicidio che seguì consumò Los
Angeles per anni e le autorità
spesero
milioni di dollari di risorse in un’indagine che sollevò dozzine di sospetti.
Ma il
caso non fu mai risolto.
Fino ad ora.
In questo libro rivoluzionario, Piu Marie Eatwell svela per la prima volta avvincenti
prove
forensi e rende noti testimoni oculari, fino ad arrivare
a indicare
l’identità dell’assassino.
L’autrice fornisce un resoconto dettagliato del
crimine e di coloro che
hanno
avuto in qualche modo un ruolo in questa storia intricata.
Una storia oscura, di sesso, manipolazione, ossessione e psicopatia, strutturata in forma narrativa ma scritta utilizzando fatti estrapolati dai documenti
prodotti
durante l’indagine
originale.
La Dalia
Nera. Una storia oscura, di sesso, manipolazione, ossessione e psicopatia.
La
ricerca della verità per un efferato omicidio irrisolto in un’assolata Los Angeles sul finire degli anni ‘40.
Recensione
By
Grazia
Piu Eatwell tratta il crimine, la corruzione e l’insabbiamento
del più
grande omicidio irrisolto d’America
con maestria e senso
critico
di come si sono succeduti i fatti.
Chiunque
ami leggere capirà: ci sono romanzi che splendono di sfumature proprie, dal
nero, al rosso acceso come il sangue e al rosa.
Il
romanzo di cui vi parlerò non ha una sfumatura cromatica, ma bensì molte, come
erano i sospettati dell’omicidio
di Elisabeth Short conosciuta come Dalia nera per il colore dei suoi capelli e perché amante del nero.
In Dalia nera, rosa e rossa, l’autrice fa riferimento al genere noir, in cui il clima e la ressa dei personaggi che ruotano
attorno a questo caso irrisolto, portano avanti indagini e le vicende narrate in
un’ambientazione (Los Angeles) ricca di
particolari. La vicenda a cui si ispira il romanzo, affonda le sue radici nella
storia dell’omicidio,
realmente accaduto, di Elizabeth Short, una aspirante attrice dal passato oscuro
giunta a Los Angeles alla ricerca della fama e assassinata con una crudeltà su
cui la penna della Eatwell non ci risparmia di particolari forensi. Il
registro crudo e brutale dal ritmo incalzante della scrittrice trascina il lettore in un raccapriccio a ogni
pagina, soprattutto nella parte che riguarda lo smembramento e le sevizie
subite dalla vittima. Andando avanti nella lettura viene la pelle d’oca, perché non si tratta di finzione, bensì di un
raccapricciante delitto dove il sangue scorre a fiumi, dove pezzi del corpo
smembrato vengono ritrovati sparsi vicino al cadavere tagliato in due. Per gli
appassionati del genere lo consiglio poiché il fatto, grazie all’abile narrazione, ti conduce all’interno di
uno dei
più noti omicidi irrisolti della storia della California,
e
probabilmente dell’America
intera. È la vicenda dell’assassinio
di una ragazza
di ventidue il cui corpo orribilmente sfigurato viene ritrovato
oltre un
marciapiede alla periferia di Los Angeles nel gennaio 1947.
Ed è
stato grazie all’invenzione
del nome: ‘Dalia
nera’ dei giornali dell’epoca, se il caso non è stato insabbiato fin da subito.
Il
soprannome ‘Dalia
Nera’, evoca un fiore esotico, di un desiderio, e ha fatto sì che questo delitto rimanesse per
sempre impresso nella coscienza collettiva, un simbolo potente del lato oscuro
di Hollywood e, per estensione, del sogno americano.
Questo
libro è in parte un romanzo noir e in parte Storia del caso realmente accaduto.
Ma l’autrice guarda oltre la vicenda poliziesca, poiché ci
presenta in media res una grande città americana e del suo dipartimento di
polizia in uno specifico momento storico, rappresentato da film che
appartengono all’età del
noir: un’epoca di poliziotti corrotti e gangster armati,
eroi cinici e bionde platino che dispensavano battute al vetriolo con aria
impassibile. Ma l’abile eloquenza
dei movie dove brillavano star del calibro di Marylin Monroe,
nascondeva
le brutali diversità della realtà del tempo.
Nelle
pagine che seguono la Eatwell ci narra
la storia di questo caso straordinario e al contempo orribile in ogni sua
sfaccettatura. La storia si svolge quasi esclusivamente a Los Angeles, con
passaggi rapidi tra un decennio e un altro, dal dopoguerra a oggi. Un’azione simile è stata necessaria per narrare la
vicenda nella sua interezza, accompagnato da una variazione di voce narrativa
alla fine della storia. Tuttavia, questo escamotage le è servito come espediente
necessario per portare il racconto da una narrazione storica al contesto di un’indagine odierna. I lettori troveranno i
titoli dei capitoli evocativi come quelle dei
film noir degli anni ‘40 e ‘50.
Per
scrivere la storia, la Eatwell ha attinto sulla principale fonte di prove
contemporanee conservate nell’ingente
dossier composto dai documenti relativi al caso, raccolti per un’indagine del gran giurì nel 1949, e divulgato
solo di recente dal procuratore distrettuale di Los Angeles.
Inoltre,
come si legge dagli atti, non c’è alcuna
prova che l’odierna
polizia di Los Angeles sia stata coinvolta in un ‘insabbiamento’ o che sappia se queste prove esistono davvero
e, se esistono, dove siano.
In
definitiva, questa è una storia sulla verità: sulla sua ricerca e la sua
soppressione.
La ragazza era Elizabeth
Short, la ‘Dalia
Nera,’ vittima di un raccapricciante omicidio nel
gennaio 1947
Di cui Mark
Hansen, proprietario danese di nightclub e uomo d’affari di Hollywood, amico intimo di Short; fu
il primo ad essere indagato.
I
sospetti poi ricaddero su
George
Hodel, famoso medico delle celebrità di Hollywood
Leslie
Duane Dillon, ventisettenne fattorino d’albergo
Caporale
Joseph Dumais, uno degli oltre cinquecento ‘falsi rei confessi’ che hanno affermato di aver commesso l’omicidio tra cui anche il regista Orson Wells. AD accusarlo
fu Mary Pacios, ex-vicina di casa della famiglia
Short a Medford. La donna fece allusione all’analogia tra il modo in cui era
stato tagliato il corpo e alcuni manichini del film “La signora
di Shangai”.
Nella
parte prima dal titolo: ‘Angelo
caduto’
L’autrice ci mostra i lati di una città marcia piena di
gente marcia.
Ritrovamento
del cadavere:
La
mattina di mercoledì 15 gennaio 1947 all’alba ore 6:58 a Los Angeles, sulle città
costiere di Long Beach e Redondo in un’area ricreativa del parco
frequentata
da madri e bambini, il 15 gennaio 1947, Betty Bersinger mise la figlia di tre
anni, Anne, nel passeggino e si diresse a sud attraverso gli appezzamenti
liberi, diretta dal calzolaio per ritirare le scarpe del marito. Lo
scricchiolio dei vetri rotti sotto i piedi all’isolato 3800 di Norton attirò l’attenzione della giovane casalinga mentre
cercava di allontanare il passeggino dai frammenti sparsi sul marciapiede.
Poi,
quando alzò lo sguardo, Betty vide un nugolo di mosche. C’era una grande nuvola nera che ronzava bassa su
qualcosa. La donna abbassò gli occhi, e riuscì appena a distinguere quello che
sembrava essere un manichino bianco steso sulla sterpaglia a pochi passi da lei
bizzarramente tagliato a metà.
La donna
si affrettò a chiamare la stazione di polizia che rispose alla chiamata, e lei
descrisse brevemente ciò che aveva visto e chiese che qualcuno andasse a
controllare. Poi – avendo scatenato quella che sarebbe diventata una delle più
grandi cacce all’uomo
nella storia dell’America
moderna – la signora Bersinger si incamminò con il suo passeggino e la sua
bambina verso il centro commerciale.
In
seguito fu contattata via radio la Sezione Omicidi.
Una
folla di giornalisti con pesanti attrezzature fotografiche e lampade
fosforescenti si riunì per raggiungere il sergente Finis A. Brown e il tenente
Harry L. Hansen, i detective della Omicidi che erano stati inviati sul posto.
Una
delle prime persone ad arrivare sulla scena fu Agness Underwood, veterana
giornalista di cronaca nera del Los Angeles Evening Herald-Express. Agness,
conosciuta da tutti come ‘Aggie’.
"Una tipa
tosta che teneva testa ai suoi colleghi uomini."
Il
corpo, avvolto dal fumo di decine di flash, apparteneva a una ragazza e giaceva
tra rade erbacce a un paio di metri dal marciapiede. Le braccia erano piegate
ad angolo retto all’altezza
dei gomiti e sollevate oltre le spalle in una supplica, sembrava nella morte,
ma in realtà era una conseguenza dell’essere stata legata per i polsi da viva. Le
gambe erano divaricate. C’erano
lividi e tagli sulla fronte. Il viso era stato pesantemente malmenato. I
capelli erano incrostati di sangue. Gli occhi, che erano chiusi, sembravano stranamente
pacifici in contrasto con la bocca, che era stata squarciata da un orecchio all’altro in un sorriso satanico. Cosa più
scioccante di tutte, il corpo era stato tagliato a metà all’altezza dell’addome, sotto le costole. Le due sezioni erano
distanti venticinque o trenta centimetri l’una dall’altra. Il fegato pendeva dal torso. Una
profonda fessura era stata incisa dalla zona pubica fino a poco sotto l’ombelico. Era, come ricorderà più tardi un
testimone oculare, come se ‘due
pezzi di carne umana fossero stati stesi come due quarti di bue’.
Nella
Los Angeles degli anni ‘40, i
detective della Omicidi si trovavano tra le mani un caso ogni due o tre giorni.
Il dipartimento riportava 131 omicidi nel 1946 e 119 nel 1947. Solo pochi
isolati a ovest, a Baldwin Hills – come sapevano fin troppo bene coloro che
avevano visto il macabro spettacolo – c’era il luogo in cui dieci anni prima Albert
Dyer, un vigile urbano addetto all’attraversamento stradale, aveva aggredito,
strangolato e gettato via i corpi di tre bambine, le ‘Bambine di Inglewood’.
Ma
questo omicidio ‘mostrava
il sadismo nella sua forma più delirante. L’omicidio più sanguinoso che si fosse mai
perpetrato. I poliziotti e i giornalisti pensavano che la donna avesse circa
trentasei anni. Ma Aggie, con i suoi occhi acuti e la sua esperienza personale,
notò la ‘condizione giovanile dei seni e le cosce lisce’. Sapeva che la ragazza era molto più giovane,
probabilmente poco più che ventenne. Più tardi, quella mattina, i
raccapriccianti resti di ‘Jane Doe
#1’ – come era stato soprannominato il cadavere
all’inizio – furono sigillati in una bara di
alluminio con morsetti a vite e portati dal Black Maria, come si chiamava ai
tempi il furgone del coroner, all’obitorio cittadino.
All’interno del Palazzo di Giustizia di Los Angeles.
Scelta appropriata dal momento che l’edificio in questione, oltre agli uffici del
procuratore distrettuale e dello sceriffo, ospitava anche l’obitorio nelle profondità delle volte del piano
interrato. Fu lì che i due pezzi del cadavere di Jane Doe #1 vennero deposti e
pesati su bilance nere a pavimento. «Quando gli fu comunicato che il corpo era
tagliato in due,» ricordò il fotografo Felix Paegel, «il coroner rispose che l’autopsia sarebbe stata eseguita subito dopo
pranzo.»
Più
tardi, giovedì 16 gennaio, il cadavere fu posto su un tavolo mortuario di
porcellana dura. Su di esso torreggiava il dottor Frederick D. Newbarr, capo
chirurgo autoptico della contea di Los Angeles.
Si dice
che i morti non raccontano storie, ma il dottor Newbarr sapeva che non era vero.
Ognuno dei cadaveri che passavano a dozzine sotto il suo bisturi ogni settimana
raccontava una storia avvincente per coloro che sapevano leggerla.
Il
cadavere rinvenuto a Leimert Park era una sfida anche per il più esperto dei
patologi forensi. Eppure, dopo un esame e una valutazione meticolosi, il dottor
Newbarr riuscì a elencare le molte orribili mutilazioni inflitte alla vittima.
Il suo rapporto finale, con la sua terminologia scientifica distaccata, fu una
lettura agghiacciante. Il corpo, annotò Newbarr, era quello di una donna di
circa quindici o vent’anni,
che misurava un metro e sessantacinque di altezza e pesava cinquantadue chili.
C’erano lacerazioni multiple sul viso, inflitte
da un coltello affilato: in particolare, una profonda e lunga più di sette
centimetri, che si estendeva dagli angoli della bocca. I denti erano in
avanzato stato di deterioramento: i due incisivi centrali superiori erano
allentati, e così un incisivo inferiore. I restanti mostravano delle cavità. La
testa evidenziava segni di colpi molto forti, sebbene il cranio non fosse stato
fratturato. Segni profondi intorno ai polsi suggerivano che la ragazza fosse
stata legata e torturata. I colpi alla testa e le lacerazioni alla bocca erano
stati inferti mentre la vittima era viva.
Erano
stati quelli, decise Newbarr, ad averla probabilmente uccisa. Il resto delle
lacerazioni le era stato inflitto dopo la morte, compresa una caratteristica
rete di fendenti incrociati su varie parti del corpo e sulla regione pubica,
dove i peli erano stati tagliati e rimossi. Non c’erano prove di strangolamento o soffocamento. L’erba su cui era stato deposto il corpo era
bagnata di rugiada, e ciò suggeriva che fosse stato messo lì prima dell’alba. Newbarr era del parere che la morte fosse
avvenuta non più di ventiquattro ore prima.
Un
quadrato di tessuto era stato rimosso dal seno destro e c’erano graffi multipli sulla superficie del
sinistro. Le cicatrici sul petto suggerivano una vecchia operazione ai polmoni.
Ciò era confermato dal fatto che, mentre il polmone sinistro era sano, il
destro aveva aderenze pleuriche. Entrambe le braccia erano coperte di tagli e
graffi. Le unghie erano molto corte e mangiucchiate fino alla carne. I palmi
delle mani erano ruvidi, ma senza calli. I capelli erano marrone scuro ma erano
stati trattati con l’henné, e
si notava la ricrescita delle ciocche naturali ancora più scure. Su ogni piede,
l’unghia dell’alluce era dipinta di rosso vivo.
5 Anche
se i capelli erano stati trattati con l’henné, nel complesso erano simili al marrone
scuro naturale, come evidenziato dal rapporto sul cadavere e dalle fotografie
dell’obitorio.
Si era
evidenziato anche una cisti di Bartolini: una piccola sacca piena di liquido
all’interno dell’apertura della vagina.
Il
tronco era sezionato in due da un’incisione che tagliava l’intestino e il disco morbido tra le vertebre.
Sembrava che per recidere il corpo fosse stato usato un coltello da macellaio o
da intaglio molto affilato e a lama lunga, e che l’assassino potesse aver usato un rasoio per
torturarla prima della morte. Gli organi dell’addome erano interamente esposti, con
lacerazioni dell’intestino
e di entrambi i reni. Non c’erano
segni di gravidanza e l’utero
era infantile.
Il
cadavere riportava anche una lacerazione lunga dieci centimetri, che si estendeva
dall’ombelico fino a poco sopra il pube. Un reticolo
di tagli era stato fatto su entrambi i lati di quella ferita, sopra l’osso pubico. C’era anche una serie di incisioni sulla pelle
dell’anca destra, e una forma irregolare di carne
era stata rimossa dalla parte anteriore della coscia sinistra. Il canale
vaginale era rimasto intatto, ma l’apertura anale era notevolmente dilatata e
presentava abrasioni multiple, e ciò indicava l’inserimento di un oggetto estraneo. Le piante
dei piedi erano macchiate di marrone e il ventre era pieno di feci e particelle
non identificabili. Tutti gli strisci eseguiti per la ricerca degli spermatozoi
erano negativi. Il cadavere era completamente pulito e privo di sangue, e ciò
suggeriva che l’uccisione
era stata compiuta in un luogo diverso da quello in cui era stato rinvenuto il
corpo. Le fibre di quella che sembrava essere una spazzola rivelarono che era
stato accuratamente sfregato, in particolare nella regione pubica e nei punti
di mutilazione. Le fibre furono inviate all’FBI per essere analizzate. Si scoprirono essere
filamenti di cocco, probabilmente di una spazzola economica. Non furono d’aiuto per una possibile identificazione.
Il
rapporto del dottor Newbarr chiarì che la maggior parte delle mutilazioni più
raccapriccianti era stata eseguita dopo la morte. Suggerivano necrofilia e un
feticismo per i coltelli. I colpi alla testa e le lacerazioni al viso, invece,
erano stati inferti quando la vittima era ancora viva. Erano i segni distintivi
di un assassino sadico che agiva in preda alla lussuria. Ci furono molte
discussioni sulla natura ‘pulita’ della bisezione del corpo e sul fatto che il
cadavere fosse stato drenato dal sangue in modo professionale. Si ipotizzò che
l’assassino avesse una formazione medica o
esperienza nel maneggiare cadaveri in una camera mortuaria. La possibilità che
si trattasse di un medico fu presa in considerazione, ma non fu ritenuta una
condizione indispensabile. Il famoso detective della polizia di Los Angeles ‘Jigsaw John’ St. John, che avrebbe ereditato il caso molti
anni dopo, dichiarò che mentre ‘l’autore potrebbe aver avuto qualche conoscenza
di anatomia… non svolgeva
necessariamente una professione medica’. Di maggiore importanza era la manifesta
fascinazione dell’assassino
per la morte.
Due
informazioni chiave relative alle mutilazioni non furono divulgate al pubblico.
Dovevano essere tenute segrete per poter essere utilizzate durante l’interrogatorio di potenziali sospetti. Erano
fatti che solo l’assassino
poteva conoscere.
Per il
momento, inoltre, solo l’assassino
era a conoscenza di un terzo fatto: l’identità di Jane Doe.
Secondo le ricostruzioni si trattava di un assassino ossessivo-compulsivo, scrupoloso,
un offender organizzato. Qualcuno che aveva ucciso senza mostrare
alcuna fretta, che non aveva paura di essere scoperto e che poi, con sprezzo
del pericolo o per la ricerca della notorietà, aveva lasciato il cadavere
in bella vista, per farlo ritrovare.
Chi era la vittima
Elizabeth Short è una ragazza di ventitré anni,
nata a Boston nel 1924. Betty, come la chiamano le persone che la conoscono, è
una ragazza bellissima, piuttosto alta e amante del colore nero. L’infanzia la
trascorre nel trambusto dovuto alla separazione dei genitori: la madre vive a
Medford, nel Massachusetts, mentre il padre ha preso casa a Vallejo, in
California. A 19 anni la giovane viene condotta in carcere dalla polizia di
Santa Barbara, California, perché colta in stato di ebbrezza fuori da una
birreria della località affacciata sul Pacifico. Viene, però, subito rilasciata
perché ancora minorenne secondo le leggi dello stato californiano.
A metà degli anni quaranta conosce il maggiore
dell’Aeronautica statunitense Matthew M. Gordon Jr., che desidera sposarla. Il
destino però li divide: Gordon muore durante un’azione aerea il 10 agosto 1945.
Una fase adolescenziale difficile per Elizabeth, che la ragazza cerca di
ribaltare tentando la strada del successo personale: il sogno di Betty,
infatti, è quello di sfondare nel mondo del cinema, e per questo nel 1946 si
trasferisce a Los Angeles, vicinissima alle luci di Hollywood.
Nel caveau
dell’FBI. Alle 14:50, le impronte erano state
identificate.
Si
trattava di Elizabeth Short, ventidue anni, di Medford, in Massachusetts.
Le
impronte digitali usate per l’identificazione
erano state depositate all’FBI
alcuni anni prima dalla polizia di Santa Barbara. Erano state prese il 23
settembre 1943 quando Elizabeth, allora minorenne, era stata arrestata per aver
bevuto alcolici con alcuni soldati in un ristorante della Mission Valley. In
quel periodo viveva con un’altra
ragazza in un agglomerato di bungalow a West Cabrillo Beach. Ben presto una
seconda impronta corrispondente fu rintracciata con l’aiuto della prima: proveniva dagli archivi
dalla Difesa Nazionale ed era stata archiviata dai Servizi di
approvvigionamento della base militare di Camp Cooke, a Lompoc, in California.
Si scoprì che, quando era stata arrestata, la ragazza lavorava come impiegata
allo smistamento della posta di Camp Cooke.
La foto
segnaletica della polizia di Santa Barbara mostrava una ragazza malinconica e
imbronciata con il naso all’insù,
capelli nero corvino e occhi dalle iridi stranamente pallide e vitree. Aveva
uno sguardo che ti trapassava. All’epoca si era detto che
la vittima adescava gli uomini, si faceva dare dei soldi per prestazioni
sessuali ma che per una scusa o un’altra la Short si tirava indietro.
Era la
prima volta nella storia che le impronte digitali in un caso criminale venivano identificate con l’utilizzo
di Soundphoto.
La mattina del 15 gennaio 1947 a Leimert Park.
Il cadavere ritrovato dalla signora Bersinger è proprio quello di Elizabeth
“Betty” Short. Il suo corpo è in condizioni pietose.
Le indagini
La California meridionale era sempre stata
venduta come una destinazione per i maschi bianchi americani che cercavano di
sfuggire all’afflusso
di stranieri ‘ignoranti,
irrimediabilmente antiamericani’ che si
riversavano nelle città dell’est. Ma
negli ultimi tempi – in gran parte a causa dell’industria cinematografica – la regione era
diventata un obiettivo per un nuovo tipo di immigrazione. I film ritraevano
eroine con esperienze di vita emozionanti, libere dai vincoli del lavoro e
della famiglia. La vita dorata che promettevano attirò un’ondata di donne nel massiccio flusso di
emigranti che all’inizio
del ventesimo secolo si riversò sulla California meridionale tra cui la vittima. I
giornali ne trovarono uno. A suggerirlo fu un farmacista di Long Beach,
località in cui la ragazza aveva trascorso qualche mese nell’estate del 1946. Il farmacista, Arnold Landers
Sr., ricordava di averla vista bazzicare intorno al chiosco delle bibite. Andava spesso nel suo negozio. Di solito con indosso un costume da
bagno a due pezzi che le lasciava scoperta la pancia. Indossava intimo nero di pizzo. I capelli erano neri, e le piaceva
portarli raccolti. Era popolare tra gli uomini, e la chiamavano Dalia Nera.»
La Dalia Nera era il nome del decennio. Jimmy Richardson disse che l’idea era stata di uno dei suoi giornalisti. Aggie Underwood lo rivendicò come suo. Chiunque abbia stampato il nome per la prima volta, deve essere stato ispirato dal film del 1946, La dalia azzurra, un noir hard-boiled sceneggiato da Raymond Chandler, con Alan Ladd e Veronica Lake. I nomi floreali erano di moda per gli omicidi a quei tempi. C’erano già stati gli omicidi ‘Ibisco rosso’ e ‘Gardenia bianca’. La ‘Dalia Nera’ vi rientrava perfettamente, anche se – come ipotizzò Aggie Underwood – un omicidio ‘rosa rossa’ sarebbe stato ancora meglio, perché avrebbe avuto un tocco di ‘classe oltre che di morte’. Omicidio Ibisco rosso: nome dato dalla stampa all’uccisione di Naomi Tullis Cook, che fu trovata picchiata a morte con un catenaccio e lasciata in un cespuglio a Lincoln Park nel 1946. Omicidio della Gardenia bianca: nome dato all’omicidio della quarantaduenne Ora Murray, il cui corpo parzialmente nudo fu trovato al Fox Hill Golf Course a West Los Angeles nel 1943. L’assassino aveva accuratamente messo una gardenia bianca sotto la sua spalla destra.
Erano i cinque
giorni cruciali nel corso dei quali erano accadute cose ancora sconosciute, che
avrebbero trasformato Elizabeth Short, la promessa di Hollywood, nel caso
numero 30-1268 della polizia di Los Angeles: una carcassa macellata gettata
sull’erba accanto a un marciapiede. Ma c’era un nome ben noto che la polizia non riuscì
a nascondere al pubblico. Era saltato fuori all’apertura del pacco e ben presto divenne la
nuova pista calda del caso. Tutti volevano parlare con il soggetto il cui nome
era impresso in oro sulla copertina della rubrica della Dalia. Mark Hansen il
noto magnate di Hollywood... Mark Hansen, ed Elizabeth Short, la vittima,
transitava nella casa di Carlos Avenue di proprietà di Mark.
Ma nel
romanzo non si parla solo del caso ‘Dalia nera’ bensì l’autore riporta riferimenti al proibizionismo, al
gangsterismo e ai Night club degli anni ‘20, ‘30.
Le
rivelazioni di George Price, Arthur James e Lynn Martin, alcuni dei sospettati,
portarono alla teoria che a Hollywood ci fosse un giro clandestino di
pornografia.
Ma come
un tale giro potesse essere collegato all’omicidio Dalia, ammesso che lo fosse stato, era
tutt’altro che chiaro. Molti anni dopo, sarebbero
emerse prove sorprendenti che avrebbero suggerito che Beth Short avesse
effettivamente posato per fotografie di nudo. Ma a confondere ulteriormente le
acque, c’erano i ‘falsi rei confessi’ Come il ventinovenne caporale dell’esercito Joseph Dumais, che dopo aver bevuto e
vedendosi le tasche sporche di sangue e con sé un ritaglio sull’omicidio della Dalia, pensò di averla uccisa.
Dumais
continuò occasionalmente ad affermare di essere l’assassino di Elizabeth per i dieci anni
successivi.
I ‘falsi rei confessi’ distrassero la polizia e alimentarono la
stampa, ma si rivelarono anche pericolosi. L’8 febbraio 1947, il giornale di Aggie pubblicò
il titolo ‘Il
caporale Dumais è l’assassino
della Dalia Nera’. Il
caso, annunciava il giornale, era stato risolto. Nello spazio di appena tre
settimane dall’uccisione
di Elizabeth Short, un altro brutale omicidio aveva avuto luogo a Los Angeles. La vittima era la quarantacinquenne Jeanne
French, un’ex
aviatrice, attrice di piccole parti e infermiera dell’esercito. Il suo corpo nudo fu scoperto alle
8:00 circa del 10 febbraio 1947 all’incrocio tra Grand View Avenue e Indianapolis
Street, a West L.A. Era stata calpestata, picchiata e lasciata a morire
dissanguata. Prima di abbandonare il cadavere, l’assassino aveva preso un rossetto rosso scuro
dalla sua borsa e l’aveva
usato per scarabocchiarle sul busto: ‘Vaffanculo, B. D.’.
L’ovvia deduzione era che le iniziali B. D.
stessero per ‘Black
Dahlia’, Dalia Nera. Il giornale di Aggie fece un
evidente collegamento tra i due omicidi con il titolo ‘Il lupo mannaro colpisce ancora!’ All’inizio, la polizia di Los Angeles fu d’accordo nel ritenere che lo stesso uomo che
aveva ucciso Elizabeth Short avesse ucciso anche Jeanne French. Il capitano
Donahoe teorizzò che chiunque avesse ucciso la Short fosse infuriato per la ‘confessione’ del caporale Dumais e per la conseguente
attenzione della stampa. Aveva ucciso Jeanne French per smentire l’affermazione che l’assassino della Dalia era stato catturato.
Aveva scritto le iniziali B. D. sul corpo di Jeanne per imprimere la sua firma
sui due omicidi.
Più
tardi, però, la polizia di Los Angeles cambiò opinione. Gli omicidi ‘Dalia’ e ‘Rossetto’ non erano collegati, dichiarò il dipartimento
di polizia. Le iniziali sul corpo erano P. D. e non B. D. Fu un’inversione di marcia piuttosto strana. Molti
anni dopo, le prove che sarebbero emerse avrebbero messo in dubbio quell’affermazione e avrebbero suggerito che c’era davvero una possibile connessione tra gli
omicidi Dalia e French. Sebbene almeno altri due corpi femminili nudi fossero
stati rinvenuti a Los
Angeles subito dopo gli omicidi Short e French, nessuno di essi ricevette l’attenzione riservata al caso Dalia.
All’inizio gli investigatori dell’esercito gli credettero, ma poi nove soldati si
fecero avanti per dichiarare di averlo visto a Fort Dix tra il 10 e il 15
gennaio. Si scoprì così che Dumais era stato in realtà nel New Jersey – a più di
duemila miglia dal luogo dell’omicidio
– durante la settimana della scomparsa e della morte di Elizabeth. Fu preso
anche in considerazione l’aspetto
saffico del caso Dalia. La Hollywood degli anni ‘40 era costruita sulle basi gemelle del
cristianesimo e dell’ebraismo:
religioni che si opponevano con decisione all’amore omosessuale. La prima domanda che veniva
in mente era: quanto erano affidabili quei test, eseguiti due anni dopo l’omicidio, quando la scienza forense era ancora
agli inizi?
La Eatwell ci parla anche del Codice Hays: il Motion Picture Production Code, un insieme di regole autoimposte dall’industria che stabiliva un insieme restrittivo di ‘linee guida morali’ e che fu applicato ai film prodotti dagli studios di Hollywood dal 1930 al 1968. Tra le altre restrizioni, il codice proibiva la rappresentazione dell’omosessualità in qualsiasi forma. I rapporti della polizia accennavano cupamente al coinvolgimento di una ‘donna chirurgo gay della Valley’. Cosa ancora più sospetta, la donna in questione era cinese. ma non aveva niente a che fare con la Dalia Nera. Era anche una società e un tempo in cui avvenne l’omicidio che si scontrava anche con poliziotti corrotti e violenti e Società segreta cinese nordamericana o confraternita clandestina. Ma solo alla fine del 1948 – a quasi due anni di distanza dall’omicidio – ci fu finalmente una svolta.
Arriviamo alla parte seconda dove la storia si dipana con una lettera fatta
pervenire insieme ad altre centinaia allo psichiatra il dottor Joseph Paul De
Rive all’indomani dell’omicidio della Dalia.
Negli
anni ‘40, il dottore era l’unico psichiatra della polizia impiegato dall’LAPD.
Mark
Hansen rimase nella lista dei sospettati per l’omicidio di Elizabeth Short per il resto della
vita, anche se non fu mai accusato. Jimmy ‘Little Giant’ Utley, il socio di Mark Hansen fu arrestato
dalle autorità quando fecero irruzione in un negozio a Long Beach che si rivelò
essere una delle sue cliniche per aborti.
Considerazioni personali
Cos’altro aggiungere. Il libro, corredato da foto
estratti dall’archivio
(USC Los Angeles Examiner, per gentile concessione della University of Southern
California, per conto delle USC Libraries Special Collections) lascia senza
fiato, ti cattura e ti trascina nell’omicidio aberrante di Elizabeth Short, la
promessa di Hollywood dai capelli neri del Massachusetts amante del cinematografo, il cui
omicidio è diventato uno dei più noti casi irrisolti della storia americana. E posso
ammettere, che questo libro è stato uno tra i pochi che mi ha sorpreso,
incantato e avvinto nella sua forma globale sia dei resoconti sull’omicidio sia sulla prosa scorrevole e idonea
per questo tipo di testo, che corredato da uno stile colloquiale, fa la
differenza.
Il libro di genere noir cattura l’attenzione del lettore e lo tiene sulle spine fino
all’ultima parola.
Il linguaggio adottato dall’autrice è volutamente crudo,
a tratti frammentato perché il suo intento è trascinare il lettore nelle
vicende dei protagonisti e soprattutto introdurre in media res il lettore. Gli rammenta che si tratta di un vero e proprio delitto, con tanto di corpo
mutilato e di spargimento di sangue. Il romanzo è ambientato negli Stati Uniti
d’America, nel dopoguerra che segue il secondo conflitto mondiale. La Eatwell descrive in modo scrupoloso
le ambientazioni, le periferie squallide e gli ambienti ombrosi della società
cittadina di Los Angeles.
Esistono alcune scene del crimine che si
palesano con una efferatezza tale che gli inquirenti, anche i più esperti,
difficilmente riescono a dimenticare quello cui hanno assistito. Il caso della
morte di Elizabeth Short, la Dalia nera, è forse il più emblematico di queste
serie.
Elizabeth Short riposa al cimitero di Mountain
View in Oakland.
Ancora oggi non ci
sono prove sufficienti per trovare un colpevole.
Tuttavia, la lancio
lì come Forensic Examiner: a compiere l’efferato omicidio potrebbe essere stata una donna...
Il caso è ancora
aperto, dal 1947... e ancora adesso nessuno è in grado di rispondere alla
domanda che da settant’anni affligge tutti: chi ha ucciso Elizabeth Short?
Complimenti
davvero all’autrice, per aver saputo regalare ai
lettori un libro di siffatta qualità storica.
Voto:
5*****
E. G. Cormaci
Romana di adozione, vive a Manziana, un grazioso angolo immerso nel verde. Si interessa da sempre di letteratura. Diplomata con specializzazione in scrittura creativa, scrive sceneggiature per il cinema e la TV, tra cui quella per la fiction Io non dimentico. (Canale 5 – anno; 2007) Lavora come consulente editoriale, editor, blogger, correttore di bozze, Ghostwriter e giornalista freelance; scrive articoli su fatti di cronaca. Per il Ciliegio, dirige come blogger la rubrica mensile: “Uscite Succose” da lei ideata, dove vengono recensiti libri, video/intro dei nuovi libri editati dalla casa editrice. Il suo corso di scrittura creativa livello avanzato è stato pubblicato sulla piattaforma di Life Learning
Sulla rubrica “Piacevoli letture”, sempre da lei ideata per la casa editrice Triskell - e Per la rubrica “Straordinarie letture” da lei ideata e diretta per la NUA edizioni, e sulla rubrica “Sognando tra le parole”, sempre da lei ideata, per la casa editrice PuBme. Potete trovare le segnalazioni e le sue recensioni sul blog: “L’angolo della fantasia – letture infinite.
Per Neri Pozza
Rubrica: “ll Nido dei libri”
Recensisce libri su Respiro di Libri Blog, e per Infiniti mondi – scrittori indipendenti di Andrea Zanotti.
Autrice eclettica e creativa con svariate passioni, continua a coltivare quella per la narrativa.
Recapiti:
Potete trovare le segnalazioni, recensioni di
autrici self e no sul suo Blog:
L’angolo della fantasia – letture infinite
https://alit-grazia.blogspot.com/...
Rubrica “Uscite succose” del Ciliegio edizioni, potete consultare il https://piccoletto11lukeletturesuccose.blogspot.com/...
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